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Affrontare con coraggio la flessione del mercato degli smartphone

Qualche settimana fa è apparsa la notizia che il mercato degli smartphone sia in leggera flessione, per la prima volta da quando è nato, dieci anni fa.
Si parla sempre di più di un miliardo di pezzi prodotti, ma è comunque in calo. Non tutte le aziende in verità, ma la produzione totale sì.
Sarebbe interessante capire quali siano le strategie delle case produttrici per mantenere vivo questo mercato.
Dopo il boom del home computing il mercato dei pc e laptop ha frenato e si è fermato, i suonatori della fanfara della fuffa innovatrice sono divenuti gli oggetti tascabili e telefonici: smartphone, tablet, ecc…
Un osservatore esterno, tipo un extraterrestre, avrebbe forse rilevato qualcosa di strano, in questa offerta di oggetti praticamente identici, distinti solo da nomi diversi, distinguibili più che altro in base alla dimensione dello schermo o del possibile utilizzo come telefono o meno. Un tablet da 7 pollici con la sim è uno smartphone e viceversa. Un ebook reader è un tablet sfigato senza schermo lucido, e ottimizzato per la lettura. Poche differenze e non sostanziali, il mercato di questo tipo di tecnologie sembra sperare in un futuro simile al mondo della moda, dove si rimesta sempre nella stessa zuppa.
Penso che la parola innovazione sia completamente fuorviante, usata a caso e inutile. Si potrebbe eliminare dal linguaggio e vedere in che modo imprenditori, politici e viosionari se la cavano senza.
Credo esistano esigenze e problemi da risolvere, e questo dovrebbe guidare l’umano fare. Pensare che l’attuale mercato della tecnologia abbia un senso e si occupi di farci comunicare, significa avere una strana concezione del mondo.
Un tempo c’era il vinile per ascoltare i dischi, poi sono venute le cassette che pero’ facevano schifo e sono state sostiuite dai cd, che avrebbero dovuto affossare il vinile, ormai passatello. Ma anche i cd facevano schifo come supporto, e poi è venuto internet a rimettere in discussione le regole del mercato della musica. Ma il vinile non e’ scomparso. E’ una tecnologia che fa bene il suo, ha un proprio fascino ed è rimasta. Ad altre soluzioni non è accaduto.
Le tecnologie che risolvono qualche problema di solito durano un pochino nel tempo, quelle che si impongono con meccanismi di creazione del bisogno devono cambiare di continuo perchè le persone si annoiano.
La lavatrice è un oggetto utile, ma non la cambierei ogni sei mesi, perchè non ha senso, perche’ dovrebbe avere senso per un telefono ? Poi le vecchie lavatrici elettromeccaniche sono come un cagnolino, uno si affezziona.
Il mio giradischi ha molti anni, ma non lo cambierei volentieri.
Negli ultimi anni i processori sono cambiati pochissimo, i dispositivi sono più o meno tutti uguali, varia solo quanta ram ci puoi mettere sopra, quanto è grosso lo schermo, la gpu della scheda grafica, la memoria di massa.
Il mercato delle app è se possibile ancora più fuffoso, con mille mila programmi per fare sempre le stesse cose, e di fatto un mercato viziato dai giganti dai piedi di argilla del web: facebook, google, …
Come si può pensare che la curva di crescita sia sempre verso l’alto, che il motore sia l’innovazione continua ? Non ci sono innovazioni sostanziali, ma va bene così, o meglio va già male abbastanza, non serve cambiare per fare peggio. Magari si potrebbe pensare di organizzare meglio quello che c’è: rivederlo in una chiave di giustizia sociale, diritto di accesso, produzione culturale, apporto alla vita sociale e politica delle comunità. Ma non sarebbe il mercato, non sarebbe la realizzazione di quella filosofia da poveri di spirito affetti da disturbo narcisistico della personalità che è il sistema liberista, motore della bolla tecnologica.
Le dispute finanziare tra i vari potentati economici divengono casi diplomatici e politici. La huawey è l’unica grossa casa produttrice che non ha subito il calo di vendite, la figlia del magnate proprietario ha subito uno strano arresto in Canada, con richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti.
E’ questo universo finanziario, fatto di giochi di potere e ambizioni economiche che guida le sorti magnifiche e progressive dell’umanità o che almeno vorrebbe agire indisturbato, usando l’uman carname come leva di profitto.
E’ strano pensare alla professione di fede necessaria per credere che tutto questo abbia un senso. E’ veramente il contrario di un pensiero pragmatico e lungimirante, a meno di non interpretare la storia dell’umanità come un gioco il cui scopo è direzionare una grossa nuvola di idiozia verso dei marchingegni utili “a fare qualcosa, pur di fare qualcosa”, e non fermare la crescita.
Ma la crescita continua è solo un mito fondativo del positivismo, una posizione ideologica, diremmo oggi, una sovrastruttura calata sulla realtà al fine di interpretarla.
Io non mi preoccupo se devo stare fermo, mi preoccupo molto di più se mi si spinge verso un dirupo, urlandomi contro: “dobbiamo muoverci, dobbiamo muoverci, avanti, avanti”.
Apparentemente si tratta comunque di un pensiero diffuso quando si parla di tecnica e economia. La tav in Val di Susa è un buon esempio. Fino a qualche anno fa la vulgata Si’ Tav voleva che il Tav fosse soltanto un treno e i No Tav dei bifolchi creduloni e spaventati nelle mani di un oscuro potere ideologicamente contrario al progresso. Oggi per i Sì Tav, il treno non è piu’ un treno, non è neppure importante cosa sia. Ha assunto una dimensione completamente simbolica: non si fa il Tav in Valle perchè serva, è più come la cena di capodanno con gli amici, mica è importante cosa si fa, ma solo stare tutti assieme, ritrovarsi intorno a una bottiglia di spumante e farsi gli auguri alla mezzanotte. I progetti di questo tipo sono un utile luogo di convergenza dei capitali, fine. Ogni altra valutazione positiva o negativa (tipo l’impatto ambientale insostenibile di questo tipo di mentalità) è completamente superflua.
Per venire incontro alle difficoltà dell’attuale fase del capitalismo mi sarei permesso di elaborare alcune proposte eco sostenibili in grado di risolvere sia il problema delle grandi opere sia quello dell’espansione continua del mercato tecnologico.
Il primo: si individui una zona ad esempio in mezzo alla pianura padana intorno a Varese, si scavi li’ una grossa buca profonda almeno 500 metri, e larga un bel bel pò: si tratterebbe di un’operara faraonica, la grande opera delle grandi opere, l’unica e sola in tutta Europa, vero fiore all’occhiello del modello imprenditoriale italiano. Al termine dello scavo, che potrebbe durare almeno dieci anni, la si ricopra. Al termine della copertura si ripeta l’azione 1 e quindi la 2 e via così. In questo modo si elude il problema dello smaltimento delle terre residuali, conferite in un apposito sito nei pressi della buca e poi rimesse dentro. Si risolve la questione del consumo del suolo: è sempre lo stesso. A seconda della necessità del mercato del lavoro, sarà possibile impiegare grossi mezzi, ma anche volendo dei cucchiaini da caffè e dei secchielli per il trasporto manuale nel sito di stoccaggio momentaneo, generando così milioni di posti di lavoro.
Per gli oggetti tecnologici proporrei invece di indicare chiaramente la data di scadenza al momento dell’acquisto, come per i generi deperibili. Ogni gingillo tecnologico dovrebbe essere dotato di un sistema atto a generare nausea e diarrea e generico malessere (come in caso di intossicazione alimentare) nel possessore, raggiunta la data di scadenza.
E’ importante infatti per il mercato ritrovare un senso e una coerenza nel proprio incedere faticoso. Le mie soluzioni, dopo anni di affinamento, risultano del tutto compatibili e in linea con le attuali tendenze del neoliberismo e dell’imprenditoria italiana in particolare: sono solo leggermente più avanzate e coraggiose.